Il traffico di esseri umani, dalla Nigeria all’Italia
La mattina del 5 febbraio a Roma, Torino, Parma, Firenze e Imperia, i carabinieri del Ros hanno arrestato trentaquattro persone, la maggior parte di origine nigeriana. Sono accusate di traffico di esseri umani e sfruttamento della prostituzione, oltre che di spaccio e riciclaggio. Per i carabinieri operavano con le stesse modalità della criminalità organizzata. Grazie alla cooperazione con le autorità del Togo è stato possibile ricostruire l’intera filiera della tratta di giovani africane fatte entrare in Italia per essere sfruttate sessualmente.
Secondo The Zam Chronicle, mensile online di inchieste sul continente africano, su dieci persone che vengono portate in Europa da trafficanti di esseri umani, sei sono nigeriane. La giornalista nigeriana Tobore Ovuorie, 33 anni, si occupa del traffico di donne dal suo paese ed è riuscita a infiltrarsi in una di queste reti, assistendo in incognito alle attività di bande criminali, a violenze, a un giro di soldi enorme e alle collusioni con governi e polizia. Questi alcuni estratti della sua inchiesta.
Al “campo di addestramento” siamo in dieci: oltre a me, Adesuwa, Isoken, Lizzy, Mairo, Adamu, Ini, Tessy, Omai e Sammy. Abbiamo viaggiato insieme su un piccolo furgone da Lagos, sperando di arrivare presto in Italia. Siamo impazienti di passare al cosiddetto “livello successivo”: dalla prostituzione locale ai bigliettoni che speriamo di fare all’estero. Ma prima, abbiamo scoperto, dobbiamo sottoporci a un addestramento in questo compound isolato e sorvegliato da soldati armati, sperduto da qualche parte in mezzo alla boscaglia che circonda Ikorodu. La nostra trafficante, Mama Caro, ci dà il benvenuto in un inglese impeccabile, dicendoci quanto siamo speciali e fortunate. Poi ci fa entrare nella stanza in cui dormiremo, per terra e senza cena.
Non mi aspettavo questo. Con i colleghi avevamo fatto un’attenta valutazione dei rischi: il mio giornale The Premium Times, la mia collega Reece Adanwenon in Benin, The Zam Chronicle ad Amsterdam e io avevamo messo in piedi contatti, numeri telefonici di emergenza, case sicure, conti in banca. Avevamo previsto le modalità di trasporto e di fuga. Reece mi aspettava a Cotonou, in Benin, per venirmi a prendere in un punto di incontro concordato. Ma non avevamo previsto che prima ci sarebbe stata un’altra tappa: questo campo isolato e sorvegliato, nel bel mezzo del nulla. In me si fa strada l’idea che potrei essere in grossi guai.
Come giornalista che si occupa di salute, avevo intervistato diverse donne reduci da sfruttamento sessuale, a cui non solo è stato chiesto di avere rapporti non protetti, ma a cui è stata negata qualsiasi forma di assistenza medica e la possibilità di tornare a casa se stavano male. Ora sono malate di aids, gonorrea, perforazioni gastrointestinali e incontinenza. Alcune di loro, provenienti da ambienti in cui la religione tradizionale è molto forte, non hanno ricevuto le cure necessarie perché i dottori le hanno considerate “cattive”. Ero consapevole che politici, funzionari e ufficiali dell’esercito che sbandierano la loro fede aiutavano i trafficanti. Io volevo rompere questa ipocrisia e mostrare come, ogni giorno, in Nigeria chi ha il potere aiuta i criminali a rendere schiave le mie giovani connazionali.
Per entrare in contatto con uno di questi gruppi, Ovuorie si veste da ragazza squillo, passeggia per le vie di Lagos e comincia a far circolare la voce di essere in cerca di una protettrice. Funziona.
Mama Caro ha fatto firmare a tutte una dichiarazione in cui affermano che hanno intrapreso il viaggio di loro volontà e si impegnano a ripagare alla trafficante una certa somma come parcella. A nessuna donna viene data una copia del documento che ha firmato, mentre la cifra di denaro varia di caso in caso senza una ragione. Isoken ha firmato per un debito di 100mila dollari statunitensi, il mio invece è solo di 70mila. Ci è stato detto che a Cotonou riceveremo nuovi passaporti con nomi falsi e anche false nazionalità. Diventerò keniana, Mairo sudafricana e così via.
Il progetto di Ovuorie è seguire il gruppo fino a Cotonou, la capitale del Benin. Ma la situazione diventa troppo difficile: assiste a ricatti, violenze e omicidi. Una volta arrivata alla frontiera, decide di scappare dal gruppo e di raggiungere da sola la città e la sua collega Reece Adanwenon.
Dopo la pubblicazione dell’inchiesta qualcuno ha sollevato dei dubbi sulla credibilità dei fatti raccontati, altri l’hanno criticata perché confermerebbe alcuni luoghi comuni sull’Africa e gli africani. Ma il suo giornale la difende, spiegando che “ignorare il suo racconto sarebbe un danno per le donne nigeriane e di altre parti del mondo che vengono vendute, e servirebbe solo ad aiutare noi stessi e le nostre coscienze”.
Nel settembre del 2013 l’inviata speciale delle Nazioni Unite per il traffico di esseri umani, la nigeriana Joy Ngozi Ezeilo, è stata in visita ufficiale in Italia e ha incontrato anche giovani e donne africane vittime della tratta e di sfruttamento sessuale. Su quella visita è stato girato un breve documentario.
Fonte: Nazioni Unite