Il PM ha chiesto trent’anni per l’omicidio di Beatrice
Il massimo della pena in abbreviato per l’ex marito. La uccise a calci e pugni e la soffocò
IL PUBBLICO ministero Claudio Curreli ha chiesto il massimo della pena, trenta anni di carcere, per Massimo Parlanti che undici mesi fa, alla Nievole, massacrò di botte e soffocò la sua ex moglie Beatrice Ballerini. Per la pubblica accusa si è trattato di omicidio volontario premeditato e massima è stata la richiesta della pena, poiché il processo si sia celebrando con rito abbreviato davanti al giudice per le udienze preliminari Alessandro Bu/zegoli. Una richiesta che qui corrisponde all’ergastolo ed è la prima volta che, in abbreviato, la pubblica accusa chiede l’ergastolo. La sola attenuante intravista dal pm è il comportamento processuale e quindi la confessione, avvenuta quattro giorni dopo la tragedia.
La differenza tra la sussistenza o meno della premeditazione, per Parlanti significa carcere a vita. Ed è proprio su questo nodo che si è articolata tutta la lunghissima udienza di ieri, dalle undici e venti della mattina fino alle cinque e mezzo del pomeriggio e dove l’accusa e la difesa si sono aspramente confrontate.
«ECCOLO L’ASSASSINO!». Alle undici e un quarto la voce della mamma di Beatrice! Vanna, si è levata ferma e decisa dal fondo del corridoio ed è stato il momento in cui la tragedia si e rimaterializzata per tutti. Il momento in cui, per tutti, Beatrice era lì. A chiedere giustizia. Si è trattato di una manciata di secondi, giusto il tempo, per gli agenti di polizia penitenziaria, di far attraversare rapidamente il piccolo corridoio all’ imputato. Arrivato a testa bassa, contratto, allucinato. Poi tutti sono entrati nella piccola aula gup, al secondo piano del tribunale. Il babbo, la mamma, il fratello, la cognata di Beatrice. Udienza a porte chiuse. Quindi il pm Curreli ha iniziato la sua forte, puntuale e circostanziata requisitoria tesa a dimostrare che, quell’atroce delitto. Parlanti l’aveva preparato. Dette un appuntamento preciso a Beatrice, la sua ex moglie, nella casa dove la famiglia aveva vissuto, alla Nievole. Non fu un omicidio d’impeto» secondo il pm. Perche la tragedia si compì in più fasi, ipotesi accusatoria che comprende la lucidità e la freddezza con cui Parlanti, dopo aver massacrato Beatrice a calci e pugni e dopo averia strangolata, simulò il furto mettendo a soqquadro alcune parti della villa, si cambiò d’abito e gettò il cellulare di lei in un cassonetto, andò a prendere i bambini a scuola e li portò a casa sua, a Borgo a Buggiano, tenendoli con sè fino a sera e istruendoli a raccontare che quei graffi che aveva sul naso (esito del disperato tentativo di Beatrice di difendersi dalla selvaggia aggressione), se li erano fatti giocando insieme. Poi si presentò dai suoceri, a Campi, chiedendo notizie di Beatrice e tornò sul luogo del delitto, quella sera stessa, insieme ai familiari e agli inquirenti. Tutto preordinato, secondo l’accusa. Due giorni dopo, schiacciato dalla tensione che gli accertamenti dell’Arma stavano rendendo sempre più pressante, si consegnò, confessando di aver ucciso Beatrice.
HA UCCISO sì, ma senza il dolo della premeditazione, è la tesi difensiva sostenuta nelle lunghe arringhe dei suoi legali, gli avvocati Luca Bisori ed Enrico Zurli di Firenze. Una sintesi: «Tutti sapevano che quel giorno Parlanti voleva incontrare Beatrice, si vedevano da soli continuamente e lei non aveva paura. L’aggressione è stata frontale. Non vi fu sorpresa. Il sangue di lui fu trovato dove lui aveva detto e senza che sapesse che era stato repertato. Maldestra la simulazione del furto in sole due stanze. Raccontò agli inquirenti dell’incontro avvenuto con Beatrice prima della confessione, non cercò mai di indirizzare gli inquirenti verso altri soggetti. Quel giorno Beatrice gli disse che era un fallito: “non noci ptù a dar da mangiare ai tuoi figli, ti fai mantenere dalla tua amante”. Espressioni forti nei suoi confronti sono contenute nel testamento di lei, depositato un anno prima, e non per paura. Parlanti ha mostrato subito pentimento, anche nell’interogatorio. Non ha dato dimostrazioni fino ad oggi perchè gli è stato suggerito di rispettare il dolore altrui».
STREMATA, ieri sera, la famiglia di Beatrice. Avrebbero voluto che ci fosse la sentenza, ma aspetteranno, con fiducia, fino al 14 novembre. La difesa ha dipinto, ai loro occhi, una realtà che li ha amareggiati. Ma hanno compreso, nella loro grande mitezza e nobiltà d’animo, le esigenze dei difensori.
Era buio in piazza del Duomo di sua figlia per il presidio e ha riavvolto lo striscione che ci dice che Beatrice è, e sarà sempre, una di noi.
di Lucia Agati
IL PRESIDIO IN PIAZZA
«Ora tenere accesi i riflettori sull’esito del processo»
QUANDO Massimo Parlanti, l’ex marito reo confesso dell’omicidio di Beatrice Ballerini, è sceso dalla camionetta della polizia penitenziaria di Pistoia, il presidio organizzato dalle associazioni delle donne di «365giornialfemminile», di uno dei suoi servizi, il centro antiviolenza Liberetutte, e dell’associazione «Rete 13 febbraio», era ancora in corso. La famiglia Ballerini, invece, era già salita al primo piano del tribunale. Alla vista di Parlanti, le donne del presidio si sono di nuovo unite, hanno srotolato gli striscioni preparati con i messaggi della campagna antiviolenza e soprattutto le immagini di Beatrice, con il suo sorriso che in questi mesi, per tante volte e comparso come sfondo dei servizi di tv e giornali. Lui, evidentemente smagrito, non ha mai abbassato lo sguardo. Anzi. Ha camminato a testa alta, non una espressione nel volto, accanto agli agenti che lo hanno scorato fino all’entrata del tribunale.
In piazza, dalle 9, c’erano anche le donne della Cgil, quelle del movimento «Se non ora quando» di Firenze, rappresentanti della Provincia e dei Comune. «La citta ha espresso la sua solidarietà nei confronti della famiglia Ballenni — ha detto il vice sindaco Daniela Belliti — A un mese dall’approvazione della nuova legge sul femminicidio, vediamo quanto riusciremo a ridurre il fenomeno».
«Non abbiamo scelto noi di occuparci di Beatrice Ballerini, piuttosto è la sua storia che ha scelto noi — hanno spiegato le donne del Centro Antiviolenza Liberetutte dell’associazione 365giornialfemminile» — Sono stali gli amici, i colleghi di Beatrice a rivolgersi a noi e la sua famiglia, con la quale abbiamo organizzato molti incontri». «Siamo qui perché consideriamo questo un gesto essenzialmente politico — spiega Alice Trippi dell’associazione “Rete 15 Febbraio” — Troppo spesso ormai nei casi di femminicidio, l’attenzione mediatica si concentra solo sul racconto dei fatti che coinvolgono vittima e carnefice, tralasciando poi l’attività processuale. Bisogna invece dare conto di come la vicenda va a finire, del corso della giustizia».
«LA MI FIGLIOLA? E’ solo lì, in foto. Noi non ce l’abbiamo più. E la sofferenza è troppo forte» E’ un dolore rinnovato quello della famiglia Ballerini, il babbo Giancarlo, la mamma Vanna e il fratello Lorenzo, hanno dovuto affrontare ieri mattina, assistendo alla nuova udienza del processo per l’omicidio della figlia Beatrice. Prima di entrare in tribunale, si sono fermati a parlare con le donne del presidio organizzato in ricordo di Beatrice. «Chi non le ha provate queste cose — ha detto babbo Giancarlo — non può capire come ci si sente a perdere una figlia in questo modo».
«Stamani, prima di uscire di casa — ha detto mamma Vanni — ero incerta se venire o no. Non è facile essere qui, davanti al tribunale. Io spero solo che sia fatta giustizia, solo questa. Tanto Beatrice non ce la restituisce nessuno».
Insieme ai genitori di Beatrice c’era anche il fratello, Lorenzo, che in questi mesi si e occupato di tutto, anzitutto curando i nipotini, seguendoli e proteggendoli sempre.
«Quello a cui le persone non pensano — ha detto Lorenzo Ballerini — è che queste cose ci coinvolgono tutti, perché possono capitare ad ognuno di noi. E’ importante fare questa riflessione — ha spiegato Lorenzo, stringendo un’immagine ingrandita di Beatrice — altrimenti si ragiona continuando a pensare che questi siano eventi eccezionali».
Poi Lorenzo si e unito alle donne delle associazioni «363 giorni al femminile» e a quelle della «Rete 13 febbraio», consegnando loro una bella immagine di Beatrice, che e stata appoggiata sul muro esterno del tribunale. «In questi mesi — ha detto Lorenzo — è stato importante avere l’aiuto di tutti e delle associazioni, che hanno più cognizione di questi fatti, della violenza e di come stare accanto ai familiari delle vittime. In questi casi è importante non essere soli. E noi non ci siamo sentiti mai abbandonati».
di Martina Vacca