Violenza alla convivente: dieci anni di carcere
DIECI anni di carcere per aver tormentato la sua convivente, sottoponendola a continue violenze fìsiche e psicologiche. E’ questa la sentenza pronunciata ieri dai giudici del tribunale di Pistoia, collegio presieduto dal giudice Luciano Costantini (a latere, Laura Bonelli e Elena Rocchi, pubblico ministero Giuseppe Grieco), che hanno condannato, in primo grado, Giuseppe Vitale, 45 anni, mercante d’arte catanese, anche al pagamento dei danni morali (100mila euro) nei confronti della sua ex convivente e delle figlie di lei (40mila euro). Un incubo
durato per anni, consumato fra le mura di casa, che finalmente ieri è finito. La vittima è ancora una volta una donna, una vigilessa di Montecatini, difesa dall’avvocato e consigliera di parità della Provincia, Chiara Mazzeo: il suo aguzzino, l’ex convivente, Giuseppe Vitale, di origine catanese che per anni ha abitato in Valdinievole, difeso dagli avvocati Alessandro Nocetti e Giuseppe Castelli, è stato condannato per maltrattamenti, minacce, violenza sessuale e calunnie.
LA STORIA risale al 2007, quando la donna trovò il coraggio di allontanarsi dal compagno con cui aveva convissuto per tre anni insieme alle figlie (all’epoca minorenni), avute da un precedente matrimonio. Tre anni in cui Vitale avrebbe sottoposto la compagna a violenze continue, intimidazioni, percosse (soprattutto sulla testa, perché non rimaessero tracce evidenti) e umiliazioni costanti, fino a ridurla in uno staio di prostrazione psicologica, inducendola addirittura ad abbandonare il suo lavoro e a interrompere una gravidanza, minacciandola che, se non avesse abortito, avrebbe fatto sparire il bambino. Ogni gesto e ogni minaccia sarebbero stati frutto di una gelosia fuori dal comune, che l’uomo esercitava in maniera costante sulla sua compagna, impedendole di uscire di casa, di telefonare e di avere contarti con i suoi familiari, fino ad isolarla completamente.
PER RENDERE le sue minacce più convincenti, Vitale aveva millantato di avere conoscenze in ambienti mafiosi, presentandosi lui stesso come un «delfino del boss» e convincendo la donna che, se si fosse ribellata, lui avrebbe fatto del male a lei e alla sua famiglia: «Farò sparare a tuo padre e a tuo fratello. Ogni mattina – le avrebbe ripetuto – dovrai chiederti: oggi che cosa succederà a me e alle mie figlie?».La vigilessa era arrivata a rassegnare le dimissioni dalla polizia municipale di Montecatini, dopo che l’uomo aveva paventato di denunciarla per la
vendita di tessere per invalidi false, convincendola che avrebbe trovato, negli ambienti mafiosi, persone pronte a testimoniare contro di lei. Alla fine la donna decise di scappare e di rivolgersi al centro antiviolenza «Liberetutte». «Per me oggi — commenta a caldo la vigilessa — è finito l’incubo che aveva distrutto la mia vita, quella personale e quella professionale. Oggi mi sento finalmente libera».
«E’ stato riconosciuto tutto il coraggio dimostrato dalla vittima»
«NON è solo una sentenza esemplare, ma anche la dimostrazione di come la giustizia può funzionare quando si crea un circolo virtuoso tra tutti i soggetti coinvolti nei casi di maltrattamenti e violenze in famiglia: forze dell’ordine, magistratura, centri antiviolenza che sono spesso i primi a raccogliere le denunce delle vittime». E’ soddisfatta l’avvocato Chiara Mazzeo, consigliera provinciale di Parità, per la sentenza pronunciata ieri dal tribunale di Pistoia. «Vorrei sottolineare il coraggio dimostrato dalla mia assistita — spiega l’avvocato Mazzeo — che ha seguito tutto il processo». La denuncia, lo ricordiamo, scattò nel 2007, quando la vittima, vigilessa di Montecatini, decise di rivolgersi al centro antiviolenza ‘Liberetutte’. L’indagine fu diretta dall’allora sostituto procuratore Ornella Galeotti, e coordinata dal vice questore Guiso, con la preziosa collaborazione dell’ispettore della squadra mobile Severina Romano. L’imputato, Giuseppe Vitale, 45 anni, di origine catanese, è stato condannato a 8 anni per maltrattamenti e violenza sessuale e a 2 anni e 6 mesi per il reato di calunnia. «Come spesso accade in questi casi — aggiunge l’avvocato Mazzeo — chi esercita violenza psicologica mira a scardinare ogni ambito della vita della sua vittima, quello professionale, così come il suo riconoscimento sociale, al fine di isolarla». «E’ molto importante a mio avviso — sottolinea ancora il legale — che i giudici abbiano riconosciuto la cosiddetta Violenza assistita’; si tratta di una violenza indiretta, un clima di terrore che si genera attraverso le minacce costanti, e nel quale, come in questo caso, finiscono per essere vittime anche persone che non sono l’obiettivo primario dell’aguzzino, nello specifico le figlie della mia assistita, all’epoca dei fatti minorenni».
di Martina Vacca