Massacrata dall’ex. Mesi fa lo aveva difeso

Massacrata dall’ex. Mesi fa lo aveva difeso

 

Difendere l’uomo che ri rende la vita impossibile a suon di percosse e minacce. Che ti fa continue violenze psicologiche e fisiche. E che arriva a minacciare di morte tua figlia. Veronica Franceschi, livornese di 30 anni, l’ha fatto. Quando a gennaio il suo ex, Imed Hamid, algerino di 37, è stato arrestato per stalking, lesioni e minacce nei suoi confronti, lei lo ha difeso. Per paura, per un amore malato, perché plagiata. Lei ha acceso il computer e ha scritto una lettera al Tirreno dicendo che non era giusto mettere il suo nome sul giornale e che in fondo aveva agito solo per gelosia. «Sono problemi familiari – aveva detto – L’ hanno arrestato dopo appena 2 mesi».

Ora Veronica è ricoverata in prognosi riservata in rianimazione all’ospedale di Livorno: lui ieri l’ha accoltellata quasi a morte. L’algerino, senza fìssa dimora e senza documenti, è in carcere: i carabinieri l’hanno arrestato per tentato omicidio, non lontano dal luogo dell’aggressione, ancora col coltello insanguinato in mano.

É successo ieri a Livorno, in zona stazione, dove la vittima abita insieme alla sua bambina di 2 anni e alla madre. Sono circa le 10 quando la trentenne incontra il suo ex, che è anche il suo stalker. Lui – come emerge dalle testimonianze dei vicini – da ore è sotto casa sua che l’aspetta. Lei scende dall’abitazione per andare a pagare la bolletta della luce. L’ex compagno la intercetta. E riesce a salire sulla macchina di lei che è ferma in via Bengasi, davanti a un bar. Nasce subito la lite. Lui vorrebbe tornare con lei e per questo è disposto a tutto. Un’amica di Veronica, di passaggio in quel momento, lo vede scagliarsi contro la giovane e interviene. «Che fai, lasciala stare», grida. Ma lui la caccia in malo modo: «Vattene non metterci bocca», le intima.

Poco dopo, il raptus. Veronica non vuole saperne di quell’uomo e il suo rifiuto rischia di costarle la vita. Come accertato dai carabinieri, l’algerino estrae un coltello a serramanico lungo 25

centimetri, di cui circa la metà di lama, e infierisce sul corpo di lei con 3-4 colpi tra l’addome e il torace. La lama raggiunge e danneggia un polmone, oltre a lacerare il diaframma. Un corpo devastato. La madre della trentenne, Daniela Politi, si dispera: «Veronica è uno scricciolino, pesa poco». Vìttima anche nel fisico: debole e fragile.

Tutto in pochi istanti. Lei tira fuori una grinta inedita, forse legata all’istinto di sopravvivenza. Un moto di ribellione che le salva la vita. Con le ultime forze, scende dalla vettura e, sanguinante, entra nel bar di fronte. Dai sedili della Punto passando dalla strada e dal marciapiede, fino all’interno del locale, una scia rossa macchia di orrore via Bengasi. Veronica si accascia su un cliente sconvolto mentre la sua amica e il titolare del bar chiamano i soccorsi. L’algerino corre via.

Alla scena ha assistito un giovane. «L’ho visto infierire con diversi colpi sul corpo di lei – riferisce – Poi lui è sceso dalla macchina ed è scappato a piedi». Mentre i carabinieri danno il via alla caccia all’aggressore, Veronica prima viene soccorsa da un’ambulanza della Svs nel bar e poi viene portata d’urgenza all’ospedale dove, dopo la Tac, viene operata al polmone e al diaframma. Le sue condizioni sono gravissime, ma i medici sono fiduciosi. E credono che se la caverà: è la speranza di tutti.

Poco dopo l’accoltellamento, Imed Hamid viene arrestato dai carabinieri per tentato omicidio in zona stazione. Un delitto annunciato, denunciano in tanti. A partire dalla madre della vittima

fino a tutti coloro che conoscono la storia di Veronica e lmed.

L’algerino il 29 gennaio era stato arrestato per stalking, minacce e violenze verso la Franceschi. Dopo mesi di molestie e percosse, a fine dicembre il nordafricano aveva minacciato persino anche la figlioletta della sua ex: «Stai attenta, hai una bimba», le aveva detto con aria minacciosa. Erano scattate le manette. Ma dopo poco, Imed era stato scarcerato e costretto solo all’obbligo di firma. A pagarne le conseguenze è stata Veronica.

 

di Lara Loreti

 

«Non sono una bestia da appendere al palo. La colpa è solo sua»

Chi sono gli uomini che maltrattano le donne seguiti dal primo centro italiano di recupero dei violenti

Gli «animali», quelli da «appendere al palo» sono gli altri. Nessuno del Centro uomini maltrattanti si riconosce nelle bestie che picchiano le mogli, le fidanzate, le madri. All’inizio – dice la psicologa Alessandra Pauncz, presidente del primo centro italiano a seguire gli uomini violenti – nessuno si identifica con il carnefice. Tutti sono schierati con la vittima. E quando parlano dei propri comportamenti «tendono a negare e a minimizzare». O a «dare la colpa di quanto accaduto alla compagna». Il meccanismo è così da quando il centro, a Firenze, è stato aperto, con appena 9 persone seguite. Poi nei 2011 sono diventate 29 e più che raddoppiate nel 2012 (59). Quest’anno, a metà febbraio – gli uomini (nuovi) dal Cam sono già 10. Segno che il fenomeno è in continua crescita. Il quadro che traccia la psicologa Alessandra Pauncz è chiaro: su 303 contatti avuti dall’inizio dell’attività, al Cam si sono presentati direttamente 143 uomini con comportamenti violenti «e oggi abbiamo nuovi casi al ritmo di uno alla settimana». Di questi 113 sono italiani, poi ci sono stranieri di varie nazionalità: belgi, rumeni, senegalesi, tunisini, marocchini, sudamericani, albanesi e così via. «Questi uomini – spiega la psicologa – sono per lo più persone che fanno fatica a riconoscere nel proprio comportamento quello che stigmatizzano nelle persone violente che criticano. Come le donne fanno fatica per anni a riconoscersi come vittime, ugualmente gli uomini violenti non si percepiscono come tali, e nella maggior parte dei casi tendono a dare la colpa delle proprie azioni alle compagne». Non a caso – ammette Alessandra Pauncz – il problema «nella fase iniziale è di costruire una motivazione in chi arriva al centro». Specie se arriva tramite contatto preso da un legale o da una compagna. «In effetti – prosegue la psicologa – il 50% di chi arriva da noi completa la fase iniziale, con i 5 incontri individuali durante i quali chiediamo una liberatoria per parlare con partner, servizi sociali, istituzioni. Se c’è una motivazione reale, invece si effettua una rilevazione degli episodi di violenza e poi si costruisce un lavoro che si svolge in gruppo». Fra quelli che arrivano al lavoro di gruppo, nel giro di due mesi – dice la psicolo ga – si assiste «all’interruzione della violenza fisica, anche se poi chiediamo di portare avanti il lavoro per un anno. Più complessa, invece, diventa la valutazione suU’interruzionc della violenza psicologica: per questo ci atteniamo ai risultati sulla violenza fìsica». Che a volte può avere indicatori di rischio nella gelosia estrema: «Tuttavia – precisa Alessandra Pauncz – non è detto che una persona non gelosa non sia maltrattante. La possessività è una costante negli stalker, mentre nei violenti è più ricorrente il tema del potere e del controllo». Tuttavia – sottolinea la psicologa – ci sono anche a livello sociale differenze che favoriscono questo sentire di superiorità da parte dell’uomo e non solo nelle culture straniere: «L’uomo italiano ha un’ora di tempo libero al giorno in più della donna. O nella nostra legislazione ci sono norme di tutela dei diritti della donna non applicate. E’ il sistema culturale che non è adeguato. Il modello di Unità non è adeguato. E alla fine non c’è molla differenza fra chi arriva ad accoltellare la moglie e chi attiva il percorso con noi: al Cam ci sono persone che avevano messo le mani al collo alle compagne. E allora dico che quando avvengono tragedie come quella di Livorno, la responsabilità è anche dell’arretratezza con cui si prende sottogamba il fenomeno della violenza sulle donne, lasciando le associazioni che si occupano del problema senza fondi».

 

di Ilaria Bonuccelli

 

Aggressioni, 6 denunce al giorno

«Vado a letto con le altre perché mi fai schifo»: maltrattamenti anche psicologici

Il forchettone la colpisce a tradimento, dentro il locale. Non conta le volte che il marito la aggredisce. Riesce solo a pensare che il figlio di pochi anni non dovrebbe assistere alla scena. Neppure i figli dell’altra donna, sposata a un professionista, dovrebbero ascoltare il padre umiliare la madre: «Io vado a letto con le altre perché sei brutta, vecchia e mi fai schifo». Storiedi ordinaria violenza che in tre anni, fra il 2009 e il 2012, hanno portato 5723 donne a chiedere aiuto a centri specializzati. Ma da metà 2011 e metà 2012, la situazione è precipitata: i casi sono diventati 2033, quasi 6 al giorno. Tante straniere. Ma la maggior parte, oltre il 65%, sono italiane.

Sempre più italiane. Il trend toscano degli ultimi due anni rivela che a livello provinciale, dove le donne che si rivolgono ai centri anti-violenza è aumentato, come a Massa, Pisa, Livorno, Prato, Lucca, Firenze «la crescita riguarda soprattutto le italiane». E la conferma arriva dalle cronache: Beatrice Ballerini, la bancaria uccisa dal marito a Montecatini a dicembre: la ragazza di Follonica picchiata in mezzo alla strada a febbraio dall’ex fidanzato; la donna accoltellata al petto dall’ex compagno di Piombino, incurante dell’ordine restrittivo del tribunale; ora la trentenne di Livorno accoltellata in auto dall’ex compagno algerino, uscito di galera dopo la denuncia per stalking.

Violenza fìsica i psicologica. Questi sono i casi più gravi. Ma ai centri anti-violenza – secondo l’ultima relazione sulla situazione in Toscana – fra metà 2011 e metà 2012 si sono presentate 1.561 donne per casi di violenza psicologica, contro 1.239 donne che hanno denunciato violenze fisiche. Di fatto 8 donne su 10 accusa violenze psicologiche. Ma circa 1800 denunciano di aver subito almeno due tipi di violenza. «Da noi – spiega Federica Michelotti, psicologa del centro Libere tutte di Montecatini – arrivano donne che subiscono violenze anche per molto tempo. Una ha preso coscienza della propria situazione dopo 22 anni: la violenza psicologica spesso non viene riconosciuta. Crea disagio, perfino un senso di colpa e di inadeguatezza che si trascinano per anni». Una donna sposata a un possidente – racconta la psicologa – si è lasciata convincere dal marito di meritare il tradimento: «Quando è arrivata avvertiva che qualche cosa non andava nel comportamento abusivo del coniuge che l’aveva costretta a lasciare il lavoro, con la promessa di una vita agiata se fosse stata a casa con i figli. Ma non le dava libertà economica. Eppure ripeteva: “Mi merito tutto questo, non valgo nulla”».

Il ciclo della violenza. Il bisogno di credere nell’amore, la voglia di salvare la storia, anche per i figli: è per questo – spiega Federica Michelotti – che «le donne aspettano molto prima di denunciare le violenze. Cosi si crea il ciclo (vizioso) della violenza nel quale a episodi gravi si alternano tentativi da parte dell’uomo di riconquistare la compagna, anche con fiori e atteggiamenti carini. E’ la fase della “luna di miele”: non dura, ma il circolo è diffìcile da spezzare. Ci vuole un evento molto forte: di solito quando la donna teme per la vita dei figli o per la propria».

Le denunce ritirate. Nell’ultimo anno sono calate le denunce presentate (da 481 a 463) e sono aumentate quelle ritirate del 41,4% , specie fra Grosseto, Pistoia e Arezzo. «Le donne – ammette Federica Michelottì – hanno paura delle reazioni di uomini violenti. I centri anti-violenza garantiscono l’assistenza legale, valutano il rischio di lasciare la donna in casa o propongono si spostarla in una casa rifugio a indirizzo segreto se temono per la sua vita. Ma questa deve essere una situazione estrema, perché impedisce ai figli dì andare a scuola o alla donna di avere una propria autonomia. Comunque, deve essere attivata una rete perché non esiste una legge regionale o nazionale a proteggerle».

Più accessi diretti. Cresce, comunque, la fiducia nei centri visto l’aumento di denunce e accessi diretti. In particolare a Grosseto, passato in un anno dal 63,7 a 773% e a Prato, da 50,5 a

543%. Calano un po’ a Pisa dove, però, gli accessi restani quasi al 70%, percentuale superiore alla media regionale del 62,8%.

 

di Ilaria Bonuccelli

 

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