Il killer è seduto sul divano

Il killer è seduto sul divano

 

Nel saggio di Daniela Danna la condizione femminile nell’era globale

Secondo “Ginocidio”:  sono partner ed ex partner a colpire nella maggioranza dei casi

Forse c’è stato un tempo in cui uomini e donne hanno vissuto in armonia. Forse, quando gli esseri umani veneravano la dea madre come simbolo della vita. Ma le tracce di quell’epoca sono troppo lontane, troppo poche per poterne essere certi. Così comincia il libro della sociologa Daniela Danna. ‘Ginocidio” (Elèuthera, pp. 154. euro 14) e nel titolo c’è già scritto quello

di cui invece si può essere certi: la disuguaglianza tra i sessi ha prodotto e produce un carico di sofferenza e violenza nei confronti delle donne che persiste e non è tollerabile.

Per questo, il 25 novembre è diventata la giornata mondiale contro la violenza alle donne, per questo oggi le donne italiane scendono in piazza a Roma per dire basta, e chiedere misure più appropriate per la prevenzione e la formazione, mentre dibattiti, proiezioni e iniziative sono previste domani in molte città italiane.

Daniela Danna, che insegna sociologia all’Università di Milano, fa il punto sulla condizione femminile nell’era globale in un viaggio che abbraccia l’Italia, i Paesi europei (latini, scandinavi, slavi), le Americhe e il mondo musulmano, individuando quali sono i fattori economici, sociali, politici e culturali responsabili della violenza sulle donne, e quelli che al contrario possono contribuire ad arginarla.

Dal suo libro, si impara tra l’altro che alcuni popoli come i Wape della Nuova Guinea o i Mayotte delle Comore (che sono musulmani) non conoscono disparità tra i sessi e quindi non esiste violenza sulle donne. E anche che, insieme a Iran, Corea del Nord, Siria e altri “stati-canaglia”, gli unici a non firmare la Convenzione internazionale contro la discriminazione delle donne sono stati gli Usa e il Vaticano.

Professoressa Danna, le streghe son tornate?

«Ce ne sarebbe bisogno. Credo però che in questi anni ci sia stato un sommovimento continuo, anche se non in forme eclatanti e visibili come la piazza. Che è una forma gioiosa di lottare per i propri diritti: dà forza ritrovarsi tra donne, che sull’impulso della giornata mondiale contro la violenza hanno deciso di farsi vedere e sentire».

Qual è la situazione della donna in Italia?

«Sono notevoli le differenze tra nord e sud e tra una classe sociale e l’altra. Ma i problemi comuni sono la discriminazione sul lavoro, i meccanismi di carriera che vengono sistematicamente bloccati per le donne, e. tuttora, una concezione della donna come oggetto sessuale, per cui ritengo le analisi degli anni Settanta ancora validissime. Al solito, c’è uno scollamento tra politica e società civile in cui la politica contempla posizioni che io ritengo lesive per le donne, ad esempio la continua rimessa in discussione della legittimità dell’aborto.

In altri casi, il problema a livello istituzionale è di applicazione della legge: spesso davanti alla violenza subita dalle donne la risposta delle forze dell’ordine è quella di minimizzare, tentare la riconciliazione col marito. Spesso non si prendono nella dovuta considerazione le minacce se non è ancora successo niente, e invece la denuncia per minacce esiste, e si deve darle seguito i meccanismi che dalle istituzioni e dalla legge dovrebbero arrivare a fare giustizia non vengono messi m atto. A Reggio Emilia una donna è stata uccisa in tribunale dall’ex marito dopo essere stata minacciata, sapeva di non avere scampo, e non è stata protetta».

Sembra che la verità più difficile da far passare è che la famiglia, e non la strada, il luogo principale della violenza alle donne. E’ davvero cosi?

«Si e i dati che Io confermano sono tratti dalle cosiddette inchieste di vittimizzazione, e non dalle inchieste giudiziarie in cui si prendono in considerazione solo le denunce. Il rilevamento a campione mostra che la violenza da parte dei partner e degli ex partner è quella più frequente. Ed è il paradosso della condizione femminile: in generale, le donne sono meno vittime di reati rispetto agli uomini ma quando vengono colpite, è prevalentemente nel luogo che dovrebbe proteggerle. La casa, la famiglia. E allora, a chi ti rivolgi? Ecco perchè sono tanto necessari i centri antiviolenza. Per prevenire, bisogna intanto rafforzare gli apparati che possono aiutare le donne, e formare gli operatori delle forze dell’ordine in modo che sappiano reagire nel modo giusto e senza pregiudizi di fronte a una donna che denuncia minacce o violenze».

La globalizzazione ha aggravato o alleviato la condizione femminile nel mondo?

«Le generizzazioni sono sempre molto difficili, soprattutto a livello globale. Non voglio quindi dare una risposta definitiva. Ma solo riflettere sul fatto che l’abbattimento del ruolo dello Stato, che è una delle forme del neoliberismo, porta a un regresso della condizione femminile anche perchè i servizi pubblici vengono meno: in Italia ad esempio i centri antiviolenza vanno avanti sulla base di progetti, non vengono finanziati autonomamente per scarsità di risorse».

Burka e chador: lei è contraria? Alcune donne che vivono In Occidente lo rivendicano come appartenenza, identità…

«E’ un discorso complesso. Le faccio un esempio: se da noi fosse proibito alle ragazze di portare il velo a scuola, come reagirebbero le loro famiglie? Toglierebbero il velo alle figlie o non le manderebbero più a scuola? Ricordiamoci che il diritto all’istruzione è una priorità per l’uguaglianza tra i sessi. Non condivido la filosofia di fondo del burka o del chador che sottintende che il maschio non è tenuto a controllarsi di fronte alla femminilità, ma bisogna anche agire per fare in modo che la ragazza, un giorno, il velo se lo tolga da sola».

Una curiosità. Infine: ma è proprio necessario dire ministra invece che ministro, avvocata invece che avvocato e cosi via?

«Il linguaggio si modifica da una generazione all’altra, quel che oggi suona strano può diventare normale in seguito. D’altra parte i sessi sono due, quindi perché non usare il maschile e il femminile?»

 

di David Fiesoli

 

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