Così noi donne combattiamo la violenza contro le donne

Così noi donne combattiamo la violenza contro le donne

 

La Rete nazionale dei centri antiviolenza conta 120 centri in tutta Italia

Dall’assistenza e supporto alle vittime ai corsi e seminari per la prevenzione

«La Rete nazionale dei centri antiviolenza è un vero e proprio movimento di donne che combatte, nei fatti, la violenza alle donne».

Così Emanuela Moroli di Differenza Donna definisce una realtà che, nel corso di un decennio nel silenzio, con poca attenzione e molta indifferenza da parte delle istituzioni – si è sviluppata fino a raggruppare circa 120 centri antiviolenza sparsi in ogni regione italiana (l’elenco completo sul sito www.women.it/centriantiviolenza) che offrono alle donne vittime di violenza, assistenza psicologica, legale e, dove necessario, la possibilità di un ricovero sicuro nelle case di accoglienza gestiti dalla stessa rete. L’estate scorsa, una ricerca dell’Istat – la prima del genere in Italia commissionata dal ministero delle pari opportunità – ha messo nero su bianco che nel nostro paese quasi 32 donne su cento – tanto per intenderci parliamo di 5 milioni di persone – tra i sedici e i settanta anni, hanno subito violenza fìsica, sessuale o psicologica nel corso della loro vita, dallo stupro ai capelli tirati, dallo stalking (comportamenti persecutori) alle intimidazioni e, nella maggior parte dei casi, responsabile delle violenze è sempre il partner, qualcuno interno alla famiglia, comunque un uomo.

Una realtà inquietante e sicuramente ancora più grave di quanto emerga dai dati lstat ma non sorprendente. Almeno per le donne che, da anni e sparpagliate sul territorio nazionale, sono politicamente e socialmente impegnate in questo invisibile e silenzioso – per chi non vuoi vedere né sentire – lavoro di ascolto, assistenza e supporto alle donne vittime di violenza. Sono appunto le volontarie dei Centri antiviolenza e delle Case di accoglienza, donne che si occupano di violenza intra ed extra familiare contro altre donne, ma anche di violenza assistita, cioè di bambine e bambini costretti ad assistere agli abusi contro le proprie mamme, sorelle o fratelli. Sono migliaia, tra cui avvocate, psicologhe, assistenti e operatori sociali, tutte donne che per sensibilità e competenza sono punti di riferimento fondamentali per i progetti e i servizi che ogni singolo centro antiviolenza e casa d’accoglienza mette a disposizione delle donne maltrattate – di qualsiasi nazionalità – e, se presenti, dei figli minori, nel totale rispetto dell’anonimato delle vittime.

Importanti anche le attività di prevenzione che i centri svolgono, attraverso incontri e seminari nelle scuole di primo e secondo grado, ricerca ed elaborazione culturale sui temi della violenza e della differenza di genere. Come nel caso del Centro Donna Lilith di Latina che offre sul territorio pontino laboratori di pedagogia e didattica della differenza di genere; del centro antiviolenza Giulia e Rossella di Barletta che organizza convegni sul disagio adolescenziale e il fenomeno del bullismo nelle scuole; o ancora i corsi di autostima e i convegni sulle violenze in ambito familiare e le ripercussioni sui minori curati dal Gruppo D di Comiso. Si porrebbero fare una miriade di esempi ma resta un fatto: l’indifferenza con cui la maggior parte

dei Centri antiviolenza vengono guardati da parte delle istituzioni locali. Per Emanuela Morali, che parla a nome della segreteria nazionale della rete la cui sede è attualmente ospitata a Roma presso l’associazione Differenza Donna, andrebbe posta più attenzione e riconoscimento per il lavoro svolto dalla rete dei centri, un lavoro molto complesso e difficile. «Abbiamo dovuto studiare – racconta Morali – innanzitutto per capire quali fossero le metodlologie migliori, le pratiche migliori per poter affrontare un problema così duro». Passi avanti ne sono stati fatti e nel corso degli anni si è sviluppata intorno alla Rete grande solidarietà di genere e relazioni profonde tra i centri e le donne che decidono di chiedere aiuto. E non è un aiuto assistenziale, piuttosto un sostegno per ripartire, per riprogettare, per riscoprire che un futuro ci può essere, anche dopo aver subito violenza.

Fenomeno importante è che sono molte le giovani donne che stanno convergendo sui centri antiviolenza per dare il loro contributo, sociale e politico: l’età media delle operatrici, adeguatamente preparate dai corsi organizzati dai centri stessi, si aggira intorno ai 29 anni. Solo quest’anno l’associazione Differenza Donna ha ricevuto 300 richieste di giovani che vogliono frequentare i corsi di formazione antiviolenza, purtroppo per ora ne può accogliere al massimo 40. Ciò significa comunque che le problematiche legate alla violenza di genere sono molto sentite e i corsi rappresentano anche un momento importante di trasmissione, alla generazione successiva, dell’eredità e dell’esperienza politica degli anni 70 e ’80.

«Ma il lavoro dei centri antiviolenza non si può continuare in maniera volontaristica – precisa Morali – è impegnativo e va fatto con professionalità, dedicandogli tempo e attenzione, oltre che con la giusta ottica e la giusta posizione politica». Per combattere l’insensibilità di molti enti locali (comuni, provincia, regioni) la Rete nazionale dei centri antiviolenza sta riflettendo sull’ipotesi di dotarsi di uno statuto, cosa che potrebbe rappresentare un importante appoggio per ogni singolo centro annvioienza. ovviamente anche la Rete è in prima linea nella preparazione della manifestazione del 24 novembre e speriamo che sarà l’occasione perché riceva tutta la visibilità che merita, visto che i centri antiviolenza hanno avuto la sensibilità di capire la gravità e l’espansione della violenza di genere già molti anni fa, quando nel nostro paese di sensibilità su questo tema non ce n’era affatto.

 

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