Più di cinquanta donne si sono già rivolte a Liberetutte

Più di cinquanta donne si sono già rivolte a Liberetutte

 

Le richieste di aiuto arrivate ai numero dell’associazione «365giornialfemminile»: sostegno piscologico e accoglienza

Sos da più di cinquanta donne

MONTECATINI — Sono state cinquamadue le donne, italiane e straniere, quasi tutte con figli, vittime di violenza in famiglia che si sono rivolte al centro antiviolenza «Libere tutte», la principale attività dell’associazione di promozione sociale «365giornialfemminile», che ha sede a Montecatini. Questo il bilancio dei primi due anni di attività del centro diretto da Giovanna Sottosanti. «Cinquantadue donne – spiega Sottosanti – che però, se si considera il nucleo familiare, diventano cento persone di cui ci siamo occupate».

La vostra associazione dispone anche di una casa famiglia per ospitare le donne che si trovano in situazioni gravi?

«Sì – risponde Sottosanti – e in questi due anni abbiamo potuto dare ospitalità nella nostra casa-rifugio a cinquanta persone, tra donne e figli, delle quali abbiamo seguito i casi».

Donne italiane e straniere, si diceva, ma tutte della nostra zona?

«In alcuni casi abitano nei comuni della nostra provincia, ma in altri provengono anche da province limitrofe. Questo perché i centri antiviolenza sono inseriti in una rete a livello regionale e nazionale. E l’ospitalità nelle case rifugio dipende dalla disponibilità al momento della necessità di accoglienza».

Qual è mediamente l’età delle donne che si rivolgono al vostro centro?

«Nella stragrande maggioranza dei casi, per quanto ci riguarda, in genere si tratta di donne giovani: tra i 25 e i 35 anni».

Come si mettono in contatto con voi?

«Il primo coniano è telefonico (il numero è 340 6850751, attivo dal lunedì al venerdì 9-13 e 14-18) e, ovviamente – cosa da sottolineare – del tutto anonimo. Altri agganci vengono proposti dai servizi sociali o dalle forze dell’ordine a cui le donne si sono rivolte. All’inizio si tratta quasi sempre della necessità di parlare. di sfogarsi, di raccontare la propria storia di sofferenza tra le mura familiari. Non sempre questo primo avvicinamento sfocia nell’attivazione dei servizi sociali o nella consulenza legale e psicologica che il nostro centro offre».

C’è ancora molto pudore ad affrontare il tema della violenza tra le mura di casa?

«Sì, soprattutto nei casi di donne di livello socioeconomico più elevato. Al contrario, chi vive un maggior disagio spesso è già seguita dai servizi ed è più disponibile a cercare aiuto».

Quali sono i loro timori principali?

«Nonostante magari subiscano violenze da tempo, questo non basta sempre a convincerle a venire allo scoperto. Il timore è di perdere l’anonimato, di mettere in difficoltà mariti che quasi sempre nella vita sociale sono stimati, soprattutto a livello professionale. Persone al di sopra di ogni sospetto. Non hanno l’urgenza di altri tipi di disagio (casa, lavoro, eccetera) e prevale la paura, una spirale dalla quale si esce con molta difficoltà».

Come potete sostenerle?

«Dicendo loro che contattare il centro o venire da noi non vuol dire assolutamente abbandonare l’anonimato. Il nostro è un rifugio di sfogo, è un luogo di accoglienza, un primo passo da fare per chiedere aiuto e sostegno a livello psicologico e, se necessario, anche legale».

 

Le esperienze sono simili: la maggioranza finisce al pronto soccorso

Straniere o italiane, identico incubo, ma non tutte riescono a uscirne

MONTECATINI — Donne straniere, donne italiane: un solo dramma, un’identica sofferenza. La violenza tra le mura domestiche accomuna persone diversissime per estrazione sociale, reddito. storie di vita. Lo raccontano le esperienze delle operatrici che hanno seguito e sostenuto il difficile percorso delle donne che si sono rivolte al centro per emanciparsi dalle botte, dai soprusi, da un quotidiano da incubo. Alcune ce l’hanno fatta, altre no.

Ma perché scatta la violenza del maschio?

«Spesso basta un nonnulla – spiegano Giovanna Sottosanti e Donella Baronti – : un piccolo ritardo nel rientrare a casa dal lavoro, un pasto non cucinato a dovere può innescare un’aggressività immotivata. E’ quanto succedeva a una giovane straniera, 30 anni e una figlia di 10, che abbiamo seguito. Da quando si era sposata le botte erano il suo pane quotidiano, ma anche le violenze sessuali. Qualsiasi motivo, con la scusa della gelosia, diventava pretesto perché il marito la picchiasse. Non accettava nessuna giustificazione. Più volte era finita all’ospedale dove mentiva ai medici: i segni inequivocabili delle percosse li attribuiva a cadute in casa. Poi alle botte si sono aggiunte le violenze sessuali, anche in presenza della figlia che dormiva nello stesso letto. All’ennesimo episodio, questa donna ha deciso di sporgere denuncia contro il marito attraverso i servizi sociali. Così è stata inviata a noi: è rimasta alcuni

mesi nel nostro centro. Ma i suoi sensi di colpa, legati alla cultura del Paese da cui proveniva, per aver osato ribellarsi all’autorità maschile erano fortissimi: per i familiari era un comportamento inaccettabile. Tutto ciò le ha impedito di ricostruire la propria autonomia e la sua identità, anche se aveva già trovato un lavoro e sua figlia era ben inserita a scuola. Ma spesso la fatica di vivere da sole è più forte. E’ proprio su questo che noi lavoriamo: sulla determinazione delle donne. In queste caso non è stato sufficiente».

Più facile riuscire a fare da sé per chi non ha figli. «E’ il caso – questo il racconto di un’altra storia – di una venticinquenne straniera, laureata nel Paese di origine, che è stata facilitata nel 

tagliare i ponti con il marito proprio dal suo livello di istruzione e dall’assenza di figli. Una donna con un buon lavoro che veniva picchiata regolarmente dal marito, anche per alcuni giorni di seguilo, con tanto di minacce di morte. Le sue colleghe avevano notato i lividi delle violenze, ma lei negava, anche se era finita più volte in ospedale. Il marito la costringeva a consegnarle il suo stipendio e spendeva tutti i soldi a sua insaputa. Anche il suo caso ci è stato segnalato dai servizi sociali. Per motivi di sicurezza è stala dirottata in un centro di accoglienza di un’altra regione. Ma abbiamo continuato u seguire il suo percorso e oggi è riuscita a ricostruirsi una vita autonoma, lontana da lui, in una grande città dove ha trovato maggiori opportunità. per valorizzare le sue capacità professionali e di studio.

 

«Attendiamo l’impegno concreto dei Comuni»

MONTECATINI — L’ associazione «365giornialfemminile» ha potuto avviare due anni fa l’attività del centro antiviolenza «Libere tutte» grazie a un finanziamento sul progetto di sportello e accoglienza del Cesvot. E oggi? «Il nostro progetto – risponde Sottosanti – è stato vagliato du due conferenze dei sindaci (di Pistoia e della Valdinievole) nel 2004, che deliberarono un impegno per reperire risorse a nostro favore, ma non ne è seguito niente di concreto, anche se l’associazione ha proseguito il proprio lavoro e i cittadini del territorio possono usufruirne. L’auspicio è ovviamente che gli enti locali valorizzino questa nostra realtà che ha dimostrato di rispondere a un bisogno che esiste. Da parte nostra continuiamo ad avere contatti costanti sia con la zona pistoiese sia con l’appena nata Società della salute della Valdinievole, con l’obiettivo che l’impegno del 2004 finalmente diventi concreto».

In questi anni vari soggetti hann dato una mano all’associazione: il club Soroptimist di Pistoia Montecatini «che – dice ancora Sottosanti – c’è stato molto vicino in tutte le nostre attività quotidiane, grazie alla grandissima sensibilità della presidente Giulia Gamboni». Ma è giusto segnalare anche la Cmsa e il suo presidente Paolo Conti che ha messo a nostra disposizione un generoso contributo economico, e la Fondazione Un raggio di luce di Pistoia che ha sostenuto le spese per l’acquisto di alcuni beni necessari al nostro centro di accoglienza. Infine un grazie va a tutti i nostri volontari che operano nel centro e hanno svolto anche un’importante attività di promozione di quanto facciamo.

 

Come devolvere il cinque per mille

Anche «365giomialfemminile» è stata inserita nell’elenco delle associazioni di volontariato e altri enti no profit ai quali è possibile destinare il 5 per mille dell’Irpef. Un modo per dare sostegno a quanti operano in favore delle persone più svantaggiate. Per sostenere «365giomialfemminile» si deve indicare il codice fiscale 91022080476 nella parte della dichiarazione dei reddti che riguarda il 5 per mille e firmare.                                                                                                                                                      

 

di Cristina Privitera

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