Colpi di mannaia alla moglie, condannato a 18 anni
COLPI la giovane moglie per tre volte sulla testa con una mannaia, lei si difese disperatamente e questo le costò anche l’amputazione di un dito. Ieri pomeriggio i giudici del collegio (Luca Gaspari presidente, a latere Elena Mele e Patrizia Martucci), hanno emesso nei confronti del marito della donna, il tunisino Luossaief Maatallah, di 54 anni, una condanna severissima: diciotto anni di reclusione. Il pubblico ministero Luigi Boccia ne aveva chiesti sedici. Il tribunale gli ha riconosciuto soltanto l’assenza della premeditazione, tutto il resto c’era: colpevole di maltrattamenti in famiglia, tentato omicidio, porto abusivo d’armi e lesioni.
IL PROCESSO si è concluso ieri pomeriggio dopo la requisitoria del pm Boccia che ha ritenuto che tutti gli atti fossero inequivocabilmente volti ad uccidere. Tutto chiaro anche alla luce della consulenza medica disposta dalla procura che aveva evidenziato tre colpi sulla testa della giovane mentre per il difensore di Maatallah, l’avvocato Fausto Malucchi, quei colpi non sarebbero stati così violenti, altrimenti l’avrebbe uccisa, quindi aveva chiesto la derubricazione del reato da tentato omicidio a lesioni volontarie. Dopo la camera di consiglio il presidente ha letto la sentenza che è andata oltre le richieste dell’accusa. Per la donna i giudici hanno quindi riconosciuto una provvisionale di 50mila curo in attesa della definizione del risarcimento in sede civile. La donna, che ha 34 anni e non vive più a Pistoia, era rappresentata dall’avvocato di parte civile Francesca Barontini che si era associata alle richieste del pm e, per quanto riguarda il risarcimento, aveva chiesto 490mila euro: 90mila per il danno biologico e 400mila per il danno morale. La perizia medica di parte civile, condotta dal medico legale Piergiorgio Potenti, aveva evidenziato 18 punti di invalidità dopo il violento episodio. «Ho comunicato alla mia assistita l’esito della sentenza per telefono — ci ha raccontato l’avvocato Francesca Barontini — e si è messa a piangere…”diciotto anni — mi ha detto — allora vuol dire che non esce? No, le ho detto io, non esce. Per lei è stato bel sospiro di sollievo, e come avvocato di parte civile trovo particolarmente signifìcativo il fatto (anche se lo sapremo con certezza dalle motivazioni), che sia stata contestata anche raggravante, chiesta dall’accusa e relativa a una norma recente, che il tenuto omicidio è qui connesso ai precedenti maltrattamenti in famiglia. Questo — rileva l’avvocato — significa che con una norma adatta, si punisce in maniera adeguata». Il contesto in cui questa tragedia sfiorata era avvenuta, la sera del 5 novembre scorso, alle Fornaci, era noto.
MAATALLAH, muratore tunisino, non voleva che la moglie, ventanni meno di lui, lavorasse, si comportava da padre padrone e voleva che tornasse in Tunisia. Dopo una lunga sequenza di maltrattamenti e angherie, compiuti anche davanti alla loro bimba di quattro anni, la giovane si era rifugiata a casa di amici, sempre alle Fornaci. Lui andò a cercarla per convincerla a tornare a casa e lei fu irremovibile. L’uomo uscì di casa per rientrare dieci minuti dopo, brandendo la mannaia. Lei fu ricoverata al Cto, in prognosi riservata. I chirurghi riuscirono a riattaccarle il dito. Maatallah fuggì, credendo di averla uccisa e la polizia lo ritrovò dopo quattro ore di caccia all’uomo.
di Lucia Agati